( Pescasseroli, 16 Ottobre 2024 )Qual è l’ambiente del mondo con la più alta biodiversità vegetale, se la definiamo come il numero di specie di piante che possiamo contare in un’area? La foresta equatoriale? Vero, ma solo se si misura il numero di specie in aree molto grandi. Se invece il conteggio si effettua su piccole superfici, il record mondiale è molto più vicino a noi: appartiene alle praterie europee!
Ad esempio, se si utilizzano aree campione di 10 metri quadrati, il valore più alto finora misurato in qualunque ecosistema della Terra è di 101 specie vegetali, ed è stato rilevato in alcune praterie della Romania. “Prateria” è una parola con cui i botanici indicano qualunque ecosistema di prato o di pascolo spontanei, anche di piccole dimensioni.
Alcune praterie del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise e della sua Area Contigua si avvicinano molto a questo record mondiale, e costituiscono (almeno per il momento) il record italiano di biodiversità vegetale! Infatti, uno studio internazionale, svolto nelle praterie di media montagna del Parco e appena pubblicato, ha misurato fino a 85 specie vegetali in 10 metri quadrati!
La ricerca, coordinata dai botanici dell’Università della Tuscia (Viterbo) e pubblicata pochi giorni fa su “Journal of Vegetation Science”, ha indagato la “densità di specie” (così si chiama questo modo di misurare la biodiversità) non solo delle piante superiori o angiosperme, ma anche quella di muschi e licheni terricoli, ossia che vivono sul terreno mescolati alle erbe della prateria. La ricchezza di specie di 97 punti di campionamento dalla Marsica alla Val Comino è stata correlata con le caratteristiche del suolo e del clima. “Muschi e licheni costituiscono una componente importante del funzionamento dell’ecosistema prativo – si legge nella ricerca – ma che purtroppo è spesso dimenticata da chi si occupa di conservazione della biodiversità, portando anche a possibili estinzioni che possono passare inosservate”.
L’elevata ricchezza di piante delle praterie ha come conseguenza una grande diversità di insetti, di uccelli e altri animali, che dipendono a cascata dalle risorse della vegetazione. “Paradossalmente – spiega Goffredo Filibeck, che ha progettato la ricerca – i valori massimi di biodiversità vegetale si trovano in genere nelle praterie che vivono su suoli aridi e poveri di nutrienti. Infatti, laddove il suolo è molto produttivo, le specie erbacee di grandi dimensioni prendono il sopravvento, ombreggiando le altre piante e facendo crollare la biodiversità”. Non a caso, i valori record del Parco sono stati trovati in località poste a quote relativamente basse (intorno ai 1000 m) dove le caratteristiche del suolo danno luogo ad ambienti piuttosto aridi, come i versanti sopra Ortona dei Marsi e Aschi Alto oppure sui dossi dei Colli Bassi presso Pescasseroli.
Questa straordinaria ricchezza è una eredità dell’ultima glaciazione, quando un clima arido ha portato da noi una vegetazione simile alle steppe dell’Asia. Al termine della glaciazione (15.000 anni fa), le immense mandrie degli erbivori selvatici hanno parzialmente frenato il ritorno degli alberi, creando un mosaico fra boschi, pascoli alberati e grandi radure, dove sopravvivevano piante, insetti e uccelli legati alle praterie steppiche. “Successivamente, l’uomo preistorico ha sterminato gli erbivori selvatici, ma nello stesso tempo ha inventato la pastorizia – continuano i ricercatori – così il pascolo di pecore e capre ha assunto il ruolo ecologico di mantenere le praterie salve dalla concorrenza degli alberi e pertanto ricche di specie”.
Negli ultimi decenni, però, l’abbandono delle attività di pascolo tradizionali, basate cioè sui greggi di ovicaprini con pastore al seguito, sta portando in tutto l’Appennino ad un velocissimo avanzamento di alberi e arbusti. Se in alcune situazioni questo è positivo, in altre sta portando alla scomparsa dell’ecosistema di prateria, che non è “meno naturale” della foresta e che possiede una biodiversità esclusiva e più elevata di quella dei boschi. “Le praterie aride vanno considerate preziose quanto un bosco secolare e protette di conseguenza” concludono gli autori dello studio.
“Lo studio condotto dal gruppo dell’università della Tuscia – dichiara il Direttore Luciano Sammarone – conferma, semmai ce ne fosse bisogno, la grande complessità degli ecosistemi naturali che caratterizzano il nostro territorio e anche l’importanza dell’azione, in parte inconsapevole in termini ecologici, dell’uomo, che nei secoli precedenti, grazie ad una zootecnia prevalentemente di ovini ha svolto un ruolo importante per la tutela dei servizi ecosistemici e della biodiversità che si è conservata fino ad oggi. Quel tipo di pastorizia oggi si è lentamente persa, a causa del nuovo contesto socio-economico, che ha portato ad allevare vacche e cavalli, complessivamente più redditizi e meno costosi da gestire, ma con effetti sull’ecosistema molto diversi. In tal senso l’azione del Parco, con un approccio pragmatico, nel rispetto delle misure di conservazione sancite dalle Direttiva Habitat e col supporto di analisi scientifiche continuamente aggiornate, mira a tutelare la biodiversità, assicurando al contempo superfici produttive per il settore zootecnico che, a certe condizioni, rappresenta un elemento prezioso per la vita delle aree montane, anche alla luce dei cambiamenti climatici in atto”.
Per saperne di più: https://www.parcoabruzzo.it/studi_dettaglio.php?id=561
Guida al paesaggio vegetale del Parco Nazionale D’Abruzzo, Lazio e Molise: https://www.parcoabruzzo.it/emporio.dettaglio.php?id=7602