(Tratte dal capitolo sulle Caratteristiche della fauna della regione del Parco - Relazione Sipari - maggio 1923)
L’Alta Marsica, cioè il territorio appartenente ai Comuni di Opi, Pescasseroli, Villavallelonga, Lecce, Gioia e Bisegna, comprende la catena del M. Marsicano, alto 2242 metri sul mare, e col massiccio del Meta, di pari altezza.
La mancanza assoluta di strade rotabili fino a cinquant’anni or sono e la scarsa popolazione di quei villaggi spiegano come ivi non sia troppo penetrata l’accetta distruttrice dei boschi e come su quelle alte vette abbiano trovato rifugio gli orsi nelle caverne letargiche ed i camosci sulle inaccessibili balze dei M. di Opi e di Civitella, abitate, come pure gli appicchi della “Foce” di Barrea e le balze della Camosciara di Civitella e di Opi e quelle dei Tre confini e della Terratta di Pescasseroli e il burrone “Magrana” di Lecce, anche dell’Aquila Reale.
Questa regione era anche essa abitata in antico dall’ursus spelaeus, come dimostrò nel 1866 Fabiano Blasetti, che nella grotta Cola presso Petrella Liri (Aquila), cioè nella Marsica, rinvenne alla profondità di m. 1,50 due crani completi con numerose ossa frantumate.
Dieci anni dopo Giustiniano Nicolucci della R. Accademia delle scienze fisiche e matematiche di Napoli, rintracciò nella stessa caverna moltissime altre reliquie di tale plantigrado, appartenenti ad individui di diversa età e grandezza.
Nel 1876 il paleontologo Costa rinvenne presso Cassino molti resti di orso speleo.
L’orso bruno, che nei tempi antichi era sparso in quasi tutta la penisola Italica, nella quale si trovano tracce della sua esistenza un po’ dappertutto, abitava ancora nel 1500 le regioni non del solo Abruzzo, ma anche del Molise, come fa fede un interessante documento rintracciato dal Prof. Comm. Giuseppe Altobello di Campobasso, il quale trovò in esso la conferma all’opinione unanime degli zoologi, e cioè che la razza di detti orsi fosse autoctona.
Scrive infatti questo appassionato zoologo molisano:
“Che anticamente questo plantigrado abitasse in tutta la regione abruzzese e molisana lo si desume dalla toponomastica locale che ricorda spesso sulle diverse montagne il nome dell’orso; lo afferma vissuto sul Gran Sasso Orazio Delfico fino al 1756,
… lo rilevo io stesso per la catena del Matese da un vecchio documento in cartapecora che conservo e che rimonta al febbraio del 1541, regnando Carlo V imperatore ed essendo Vicerè di Napoli D. Pedro di Toledo.
Il Conte de Capoa D’Altavilla, Signore di Sepino (Campobasso), nel concedere una serie di privilegi a quegli abitanti, cita anche quello di andare a caccia nelle selve con l’obbligo però di dare una parte del corpo dei cinghiali, dei cervi e dei caprioli uccisi alla Curia Sepinate e dell’orso la sola testa con tutta la pelle:
…”Urso nero occiso per eosdem teneantur dare capud et coreum”.
Anche nella valle del Sagittario, allora coperta di folti boschi, oggi in gran parte distrutti, dava naturale ricetto anche essa agli orsi, che oggi più non la frequentano.
Si ricordano le cacce all’orso dei Signori del Castello di Anversa, di Don Antonio Belprato nel 1577 e, più tardi del feroce Don Titta di Capua.
E fino ad un secolo addietro l’orso viveva anche nelle foreste di Vastogirardi e di Capracotta, dove si racconta anche di un prete, Don Anselmo Di Ciò, il quale trovandosi spesso divelti i lacci da lui posti per prendere le pernici, si appostò e scoprì che il ladro abituale era un grosso orso.
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Pubblicato su Facebook il 15 dicembre 2017