La ricerca al servizio della conservazione
Ai fini della tutela dell'orso, le attività di conservazione e la ricerca non sono tra loro in antitesi o in conflitto, e non devono neppure essere considerate come alternative.
La ricerca, da sola, serve a ben poco, se i risultati non vengono poi tenuti in debito conto in fase programmatica di conservazione.
E la conservazione, d'altro canto, rischia di essere inefficace, o semplicemente propagandistica comportando un inutile spreco di risorse, se non è costruita su indicazioni oggettive e scaturite da un'analisi scientifica del problema.
Ricerca e conservazione sono quindi due aspetti complementari, e assolutamente sinergici, di un modo più moderno ed efficace di pensare ed agire per tutelare le risorse naturali.
Oggi, conservare l'orso vuole dire intervenire in maniera diretta, funzionale ed efficiente sulle cause del suo declino e del suo mancato recupero.
L'intento è ridurre l'effetto delle più importanti minacce per la sua sopravvivenza e, al tempo stesso, tutelare e promuovere le condizioni ambientali e gestionali che più rispondono ai requisiti biologici ed ecologici della specie.
Fare ricerca per la conservazione dell'orso vuole dire innanzitutto conoscere le caratteristiche ed i requisiti critici per la sua popolazione e quindi, analizzando la situazione attuale e pregressa, individuarne le principali minacce ed i meccanismi attraverso cui agiscono.
Ciò non è semplice, perché le specie come l'orso sono regolate da interazioni ecologiche complesse all'interno degli ecosistemi, e individuare i fattori singolarmente responsabili delle risposte a livello di popolazione necessita di un approccio e di metodi propri della ricerca scientifica. In alternativa, si possono fare sempre delle supposizioni, basate sul buon senso o sul ragionamento di qualche esperto locale; ma queste, in campo scientifico, vengono più laicamente definite "ipotesi", riconoscendo che non possono come tali rappresentare fonte di conoscenza oggettiva se non prima verificate sperimentalmente.
Il problema è che siccome le ipotesi costano ovviamente molto meno della ricerca, si può cedere alla tentazione di considerarle alla stregua della conoscenza oggettiva.
Se le azioni di conservazione vengono pianificate sulla base di presunte ipotesi, poi non dobbiamo stupirci se gli effetti saranno marginali o nulli. Nel passato sono stati piantumati centinaia di alberi di mele per l'orso, in base alla convinzione (ipotesi!) che la recente regressione delle attività agricole in montagna avesse pericolosamente sottratto al plantigrado importanti fonti alimentari.
L'ipotesi non è peregrina, anche se non è però stato mai dimostrato un calo nella sopravvivenza o nella riproduzione nella popolazione di orso dovuto a carenze alimentari.
E del resto si può obbiettare che piantare alberi di mele non è certamente di per sé un'attività dagli effetti negativi, e che in un prossimo futuro l'orso sarà forse comunque più contento dell'abbondanza di mele a disposizione.
Ma siamo sicuri però che sia questo l'intervento di conservazione più importante e prioritario su cui concentrarsi?
E' davvero la carenza di cibo ad affliggere la popolazione di orso marsicano, o non sono piuttosto altre le vere cause del suo status attuale?
Non c'è il rischio che concentrando la nostra attenzione (e risorse!) nella piantumazione dei meli stiamo al tempo stesso trascurando problemi e minacce ben più gravi?
La ricerca, producendo conoscenze oggettive, mette a dura prova la logica e l'adeguatezza dei nostri interventi di conservazione a favore dell'orso.
L'orso ha bisogno di una maggiore attenzione e focalizzazione dei nostri sforzi di conservazione, ma questi necessitano di essere basati su fatti concreti e non su ipotesi, luoghi comuni o sentito dire.
C'è anche un altro importante valore aggiunto nella ricerca applicata alla conservazione. Abbiamo ormai capito che a problemi complessi (perché la conservazione dell'orso è un problema assai complesso) non si può certo rispondere con soluzioni semplici o prese di posizione emotive.
Gestire su larga scala, ed in maniera compatibile con la presenza dell'orso, attività come lo sfruttamento delle foreste da parte delle popolazioni locali, l'allevamento degli animali domestici, lo sviluppo del turismo, la pianificazione e realizzazione di infrastrutture, è una faccenda piuttosto complessa, anche all'interno di un parco nazionale.
Figuriamoci poi all'esterno delle aree protette.
Se questo è il contesto, da un punto di vista amministrativo, e specialmente in un Paese altamente popolato come il nostro, non è pensabile di poter intervenire sempre e comunque a suon di divieti e mirare all'eliminazione totale delle attività antropiche dal territorio.
Ci vogliono ovviamente delle soluzioni di compromesso, e queste, oltre ad essere comunque funzionali per la tutela dell'orso, devono essere fattibili da un punto di vista tecnico ed economicamente e socialmente accettabili.
E' qui che la ricerca, attraverso una disamina metodica ed oggettiva del contesto ecologico ed antropico in cui si opera, può fornire agli amministratori indicazioni preziose su una o più alternative di gestione, facilitando l'individuazione di soluzioni più realistiche, che altrimenti comporterebbero forti conflitti sociali o rimarrebbero comunque utopiche.
In un contesto di conservazione in cui tensione e conflitti sociali possono essere elevati ed all'ordine del giorno, solo conoscenze solide e di carattere scientifico possono avere maggiore speranza di essere tradotte in politiche ed interventi gestionali per la tutela dell'orso; tutto il resto, la miriade di opinioni, luoghi comuni o anche i "pareri dell'esperto" non assumeranno mai la necessaria credibilità e peso istituzionale.

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(foto di: Valentino Mastrella, Archivio PNALM)

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(foto di: Valentino Mastrella, Archivio PNALM)

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