"Nella meravigliosa oasi verde che oggi costituisce il Parco Nazionale d'Abruzzo, il visitatore trova estasiato e felice una grande ricchezza di piante, un superbo rigoglio di vegetazione."
Con queste parole l'illustre botanico Romualdo Pirotta celebrava all'inizio del secolo scorso il valore della flora delle montagne del Parco. La flora del Parco, è così ricca ed interessante, da essere stata, da sempre, oggetto di studio Complessivamente è possibile elencare circa 2.000 specie di piante superiori senza cioè considerare i muschi, i licheni, le alghe ed i funghi.
Tra le peculiarità floristiche, spicca il giaggiolo (Iris marsica) un endemismo del parco, che cresce solo in alcune località e che fiorisce tra maggio e giugno.
Sono presenti inoltre numerose e variopinte orchidee, delle quali la più bella, grande e rara è senz'altro rappresentata dalla scarpetta di Venere o pianella della Madonna (Cypripedium calceolus), che fiorisce negli angoli più nascosti, tra maggio e giugno.
Un'altra rarità è senz'altro rappresentata dal pino nero di Villetta Barrea (Pinus nigra), una specie relitta risalente probabilmente al Terziario; si tratta di una varietà esclusiva del Parco, localizzata in alcune zone della Camosciara e della Val Fondillo. Tra le conifere spontanee, troviamo, inoltre, il pino mugo (Pinus mugo), un relitto glaciale che occupa la fascia vegetazionale tra la faggeta e la prateria di altitudine anch'esso localizzato prevalentemente nella zona della Camosciara.
Altra peculiarità del parco è rappresentata da una piccola stazione di betulle (Betula pendula), localizzata a Barrea in una località chiamata Coppo Oscuro. Si tratta di una specie relitta, tipica delle epoche glaciali quaternarie, che testimonia la vegetazione fredda un tempo predominante sull'Appennino.
Ma il paesaggio vegetale predominante del Parco è costituito dalle foreste di faggio: il nome scientifico di questa specie, Fagus syIvatica, ricorda l'origine spontanea di questa specie sulle montagne dell'Italia appenninica, dove la presenza dei faggi risale a decine di secoli fa. Il faggio è infatti l'albero più comune del Parco e generalmente cresce tra 900 e 1.800 metri di altitudine.
Le faggete occupano più del 60% dell'intera superficie del Parco e concorrono a creare un paesaggio ricco di colori che variano al trascorrere delle stagioni. La forma e la grandezza dei faggi varia in base all'altitudine, all'età e alle condizioni di fertilità del suolo. L'abbondante lettiera presente in faggeta svolge un'importante azione termoregolatrice: durante l'estate mantiene umido il suolo impedendone l'essiccamento, mentre d'inverno lo protegge dal gelo. Inoltre, decomponendosi grazie all'azione di insetti e microrganismi, contribuisce ad arricchire il terreno di humus. Dai rami dei faggi pendono inoltre, abbondanti ciuffi di "barba di bosco" (Usnea florida), un lichene tipico di questo ambiente dell'Appennino.
Il faggio manifesta una molteplicità di aspetti: da esemplari tozzi e plurisecolari, con chioma a forma di candelabro ad alberi dal fusto alto e diritti come ceri.
Questi alberi, se potessero parlare, racconterebbero storie lunghe e complesse, fatte di pesanti interventi da parte dell'uomo, con tagli e disboscamenti irrazionali avvenuti sin dalle epoche più remote.
Ma il periodo più difficile per questi boschi fu quello del cosiddetto 'miracolo economico', in cui ebbero il sopravvento i tagli di tipo industriale. Grazie l'impiego di mezzi e tecnologie più moderne, le foreste subirono una pericolosa distruzione che non andò a vantaggio delle popolazioni locali e della cultura forestale.
Nel Parco, tra il 1957 e il 1967, furono tagliate oltre 650.000 piante d'alto fusto.
Dal 1969, con la riorganizzazione dell'Ente, sono stati vietati tutti i tagli a uso industriale, stroncando cosi una vera e propria speculazione boschiva. Dopo anni di sfruttamento indiscriminato, le foreste dei Parco ora vengono conservate accuratamente al fine di riportarle, ove possibile, alla loro struttura originale, favorendo così sia la fauna - che cosi può riavere il suo ambiente naturale - sia l'uomo, cui consentono il godimento di spettacolari bellezze.
Oltre il limite delle foreste si incontrano il ginepro nano (Juniperus communis nana), di forma prostrata, e relitti della brughiera nordica come il mirtillo (Vaccinium myrtillus) e l'uva ursina (ArctostaphyIos uva-ursl), che rivelano la presenza, in tempi passati, di uno strato superiore di vegetazione a conifere.
Le praterie di altitudine - che insieme a prati e radure ricoprono oltre il 30% della superficie complessiva del Parco - sono tipiche della parte alta delle montagne e. occupano creste e sommità intorno ai 1.900-2.000 metri di quota. Qui la vegetazione è composta prevalentemente da diverse specie di Graminacee e Ciperacee cui si accompagnano nella bella stagione la gialla genziana maggiore e tantissime altre specie: genziane, genzianelle, primule, ciclamini, viole, anemoni, scilie, gigli, orchidee, sassifraghe, ranuncoli, asperule, dentarie, ofridi, ellebori, epatiche.
Particolarmente vistosi sono il giglio rosso (Lilium bulbiferum croceum), proprio di pendii assolati e asciutti, il giglio martagone (Lilium martagon), che cresce nelle faggete meno fitte, l'aquilegia (Aquilegia ottonis), abbondante nei pascoli e nei terreni incolti, la genziana appenninica (Gentiana dinarica), di un azzurro intenso, e la già citata Iris marsica.
Il fiore più famoso dei Parco è senza dubbio la scarpetta di Venere o pianella della Madonna (Cypripedium calceolus), un'orchidea gialla e nera localizzata nel cuore della riserva integrale e relitto di epoche lontane. Questa pianta, che cresce anche in località alpine, rischia l'estinzione a causa della vandalica quanto inutile raccolta da parte di turisti non educati; occorre quindi proteggerla adeguatamente.