I mestieri del Parco
La cultura di un popolo si manifesta in ciò che realizza, in quello che produce e nel modo in cui si rapporta con il luogo d'origine. Fin da epoche lontane, il territorio del Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise è stato abitato e utilizzato da uomini e donne che hanno dato vita a tradizioni e mestieri percepibili nei vicoli e nelle botteghe artigiane ancora esistenti. È nella memoria popolare che sopravvivono gli echi dei canti dei mietitori e dei contadini, il belare delle pecore, il martellare del falegname e del fabbro, le voci allegre delle lavandaie. Esistono ancora in alcuni luoghi costumi e tradizioni della civiltà agro-silvo-pastorale legata ad un'economia di semplice sussistenza.
Le attività legate alla transumanza, oltre ai pastori, vedevano impegnati i tosatori, i cardatori, i tintori e i tessitori per la lavorazione della lana, il massaro e il caciaro per la mungitura e la lavorazione del formaggio, i bassettieri per la concia e la vendita delle pelli, i butteri per l'approvvigionamento dell'acqua e della legna e per la costruzione delle recinzioni per il ricovero degli animali.
Oltre alla pastorizia anche l'agricoltura aveva un certo sviluppo, grazie a piccoli campi coltivati sulle pendici esposte a sud e nei fondovalle dove erano coltivati grano, granturco, legumi e gli ortaggi che servivano per il fabbisogno quotidiano delle famiglie. Quello del contadino è uno dei mestieri più antichi del mondo e i raccolti dei campi, dei frutteti, delle vigne e degli orti erano i prodotti per cibarsi e in parte per rifornire i mercati e le botteghe con la prospettiva di ricavarne del denaro. Diffusa in questi territori era la mezzadria ovvero il contratto agrario che prevedeva di conferire metà del prodotto al proprietario terriero e di tenerne per sé la restante parte.
Il calendario del contadino era ricco di impegni: la vendemmia e la preparazione del terreno con la semina di alcuni prodotti e la raccolta delle olive in autunno, l'uccisione dei maiali e la lavorazione della carne in inverno, la semina primaverile del granturco, dei fagioli e delle patate, la mietitura e trebbiatura del grano e la raccolta della maggior parte dei prodotti in estate.
L'attività artigianale, che ha tradizioni antichissime, è legata soprattutto ad oggetti fabbricati per soddisfare i bisogni immediati: i bastoni dei pastori, le ciotole, gli sgabelli per mungere il bestiame, i recipienti per i formaggi, gli utensili da cucina, e gli arredi domestici. Il materiale preferito era il legno abbondante nella zona.
Lo scalpellino lavorava, decorava e collocava blocchi di pietra utilizzata per abitazioni, sentieri e marciapiedi e per gli oggetti ornamentali come fontane, colonne, architravi. Ispezionava il luogo dove le pietre dovevano essere inserite le tagliava e le sbozzava dando loro la forma voluta. Così, semplici decorazioni suggerite dalla natura si sono trasformate in vere e proprie forme d'arte che impreziosiscono ancora oggi i centri storici.
Il fabbro era un artigiano che in passato godeva di molta considerazione perché i paesi a vocazione agricola non potevano fare a meno di questo professionista che forgiava i metalli. Con l'incudine, le pinze e le tenaglie, i martelli e le mazze, il fabbro modellava le barre di ferro incandescenti che cedevano sotto i suoi colpi vigorosi diventando zappe, vanghe, mannaie, accette, falci, picconi, roncole e ferri di cavallo.
Figura tipica era anche quella del carbonaio che restava in montagna per mesi interi, portandosi dietro solo il mulo. I carbonai provvedevano al taglio degli alberi che venivano quindi sramati e depezzati. Successivamente la legna veniva trasportata con i muli nella piazzola dove era sistemata per bruciare. La carbonaia aveva forma conica e una volta appiccato il fuoco veniva coperta con del terriccio, si praticavano dei buchi laterali per far uscire il fumo ed ottenere una combustione lenta senza che la legna incenerisse completamente. Anche di notte, a turno, si sorvegliava la carbonaia per evitare ogni pericolo. I carbonai dormivano in capanni di legno, che una volta terminato il lavoro venivano smontati e trasferiti altrove. Come mezzo di trasporto della legna usavano soprattutto i muli, resistenti e adatti a muoversi nelle zone montuose della regione.
Una tradizione tipicamente femminile era la filatura della lana che veniva praticata con la rocca e il fuso. La lana un tempo veniva cardata facendola passare e ripassare tra due assi di legno contrapposti dai quali fuoriuscivano lunghi chiodi. In seguito furono utilizzate apposite macchine a pedale, nelle quali il fuso era sostituito dalla spola. La lana filata era poi raccolta in matasse, lavata in acqua calda e usata per fare calze, maglioni, maglie, scialli ecc.
Alle vecchie attività di un tempo oggi si sono sostituite quelle nuove, legate prevalentemente al turismo. Vi è però la consapevolezza di dover conservare il patrimonio ambientale e culturale del territorio, per garantire benefici non solo economici, convogliando gli interessi e gli sforzi verso un nuovo modo di progettare e investire, tenendo conto di un nuovo importante settore di occupazione, rappresentato dalla "qualità della vita".
Antonella Ciarletta